Il problema al centro delle consultazioni della Quarta Commissione. Sì alla delibera sui contributi per l'affitto
Sanità, servizi territoriali e case di riposo: emergenza infermieri e Oss
In allegato, i documenti distribuiti durante i lavori.
La “fuga” di infermieri e operatori socio sanitari (gli “Oss”) dalle case di riposo verso gli ospedali, considerati strutture più attrattive per i diversi carichi di lavoro, ma anche la migrazione di queste figure professionali dai servizi territoriali delle valli periferiche in città, la crescente necessità di ovviare alla carenza dei medici con l’utilizzo di personale infermieristico specializzato, e la quasi impossibilità di trovare chi ha un titolo di Oss per le cooperative che si occupano di servizi di cura: questi i maggiori problemi emersi dalle audizioni volute dalla Quarta Commissione presieduta da Claudio Cia (Agire). Sul tema “Problematiche lavorative e prospettive future del personale infermieristico e degli operatori socio-sanitari”, per acquisire elementi conoscitivi con cui i consiglieri potranno elaborare iniziative politiche e proposte (di mozione, disegni di legge o interrogazioni), l’organismo ha raccolto il punto di vista dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, dell’Upipa, le delle sigle sindacali e degli ordini professionali competenti. Prima di concludere la seduta la Commissione ha espresso il proprio parere favorevole, con 4 sì e un voto contrario (di Demagri del Patt) alla delibera proposta dall’assessora Segnana che adegua il regolamento dei contributi per l’affitto all’introduzione del reddito di cittadinanza.
Nell’Apss ogni infermiere ha 1,3 pazienti in più rispetto alla media enropea.
Presente l’assessore alla salute e alle politiche sociali Stefania Segnana, affiancata dal dirigente generale Giancarlo Ruscitti, la Commissione ha ascoltato innanzitutto il direttore generale dell’Azienda sanitaria Paolo Bordon, accompagnato dalla dirigente del servizio governance dell’Apss Annamaria Guarnier. Bordon ha portato alcuni dati del 2016 da cui si evince che l’Italia si trova in una posizione arretrata rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei. Nel nostro Paese infatti il rapporto infermieri/medici è pari a 1,5 (infermiere per medico) mentre la media europea è di 2,5 (la Finlandia è prima con 4,7). Quanto ai pazienti in carico per ciascun infermiere, la media europea è 8,3, quella italiana è 9,54 mentre la media dell’azienda sanitaria provinciale arriva a 9,6. Con l’applicazione di una delibera della Provincia del 2017, mediamente nei reparti per acuti ciascun infermiere ha in carico 1,3 pazienti in più rispetto alla media europea. Bordon ha sottolineato che la situazione del Trentino è nettamente migliore rispetto a quella del Veneto in termini di minuti totali di assistenza (in criterio adottato dalla Giunta è quello della “intensità di cura”) al giorno dedicati ai pazienti a medio alta complessità e a media complessità.
Forte investimento sul personale sanitario.
Il direttore ha spiegato che per quanto riguarda l’organico negli ultimi 3 anni vi è stato forte investimento in termini di figure infermieristiche, con una aumento di 200 persone, anche a seguito dell’introduzione di nuove funzioni. L’aumento ha riguardato in prevalenza figure a tempo indeterminato. Tra il gennaio 2016 e lo stesso mese del 2019 il personale di supporto all’assistenza, tenuto conto della progressiva trasformazione di posti di ausiliario e Ota in Oss e della politica di mantenimento delle dotazioni, è rimasto quasi invariato (– 5 unità a tempo indeterminato). Rilevante è stato anche l’investimento dell’Apss sulle ostetriche sia in termini di numero complessivo che di sviluppo e riconoscimento di professionalità e autonomia in ambito territoriale ed ospedaliero in seguito al potenziamento del Percorso Nascita e del parto fisiologico)
Il personale ostetrico è aumentato di 63 unità a tempo pieno perché sono stati potenziati alcuni percorsi, come il percorso nascita. Anche per quanto riguarda i professionisti della riabilitazione nello stesso periodo vi è stato un incremento di 36 unità di personale a tempo indeterminato per l’applicazione del piano demenze in ospedale e la copertura territoriale. L’attivazione e lo sviluppo di Protonterapia ha comportato anche un incremento dei professionisti tecnici sanitari a tempo indeterminato (+20 a tempo indeterminato e 3 a td) , mentre l’applicazione della legge 119 del 2017 sull’obbligo vaccinale ha indotto un aumento di 4 unità nel settore dei professionisti della prevenzione.
La riorganizzazione servizi sanitari sul territorio riduce le ospedalizzazioni.
Bordon ha poi citato le variazioni dovute alla riorganizzazione dell’Apss che ha indotto a valorizzare le professioni sanitarie con l’inserimento di 3 direttrici di struttura complessa, di 11 dirigenti (a breve 12) e 61 posizioni organizzative (34 gestionali e 27 professionali). Questa riorganizzazione – ha spiegato – garantisce una catena decisionale corta nell’operatività, una referenza continua per i coordinatori, un’integrazione tra i livelli evitando frammentazione e divergenza nelle risposte. Un forte focus è stato posto dall’Apss sulla valutazione delle competenze e della performance anche per sapere quale gap colmare in modo da garantire la copertura. Poche Apss in Italia – ha osservato Bordon – hanno avuto un’implementazione così massiccia di personale, ma serve una continua formazione professionale in servizio. L’accesso al ruolo di coordinatori avviene per selezione ed è richiesto il requisito di un master o di una laurea specialistica. Per incentivare la formazione accademica l’Apss prevede il pagamento di un contributo alle tasse universitarie per master di coordinamento. Per il nuovo modello organizzativo dell’Area cure primarie le risorse umane sul territorio ammontano a 194,1 infermieri part time, 27 coordinatori di percorso, 350 medici di medicina generale, un rapporto di 0,60 infermieri per medico di medicina generale e un rapporto di un infermiere ogni 2553 abitanti. A questi si aggiungono 17 coordinatori infermieristici, 18 medici di cure primari/coordinatori Uvm, 11 medici cure palliative e 5 direttori di Unità operativa. Infine Bordon ha insistito sull’importanza della figura dell’infermiere di comunità che l’Apss sta implementando, con l’obiettivo di evitare e ridurre il più possibile i ricoveri attraverso la collaborazione con il medico di medicina generale dentro le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft). L’infermiere di comunità deve conoscere bene il territorio per rendere più efficaci i servizi e intercettare i pazienti cronici in funzione dell’arruolamento attivo nei percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali. Altri azioni che l’Apss intende sviluppare, ha concluso il direttore, riguardano le politiche di mantenimento e sviluppo delle competenze e dei percorsi di carriera, le politiche di conciliazione (progetto lunghe assenze, turnistica flessibile, progetto perla, telelavoro e smart work), le politiche di trattenimento dei professionisti in ospedali e servizi di valle e modelli innovativi.
Bordon: personale infermieristico strategico per fronteggiare la carenza di medici.
A una domanda di Cia sulle limitazioni lavorative (fisiche) del personale, Bordon ha risposto che questo problema, che esiste e non è eliminabile, va affrontato con la formazione professionale e le tecnologie: se certe figure non possono più esercitare determinate attività, vengono destinate ad altre competenze.
Paola Demagri (Patt) ha posto domande sulle ragioni dei 196 in più tra il 2016 e il 2019, sulle difficoltà a trattenere il personale negli ospedali di valle, le strategie per il ricambio generazionale del personale Oss e se vi sono dati riguardanti la riduzione del tasso di ospedalizzazione nella zona di Pinzolo dove l’AFT è già stata attivata.
La dirigente Guarnier ha risposto che l’incremento del personale infermieristico è legato a cambiamento di modelli organizzativi e al forte investimento sull’aumento delle attività, che ha comportato un adeguamento delle dotazioni organiche. Sul mantenimento del personale nelle valli, Guarnier ha segnalato i ragionamenti in corso con l’università per puntare sul reclutamento del personale residente. Cambio generazionale Oss: gli operatori socio-sanitari vanno trovati tramite concorsi ma anche con la mobilità. Inoltre le strutture ospedaliere dell’Apss attraggono personale dalle Rsa.
L’esperienza degli infermieri di comunità ha ridotto l’ospedalizzazione grazie alla forte alleanza con i medici di medicina generale. Non vi sono ancora dati su Pinzolo ma stiamo monitorando l’andamento.
Bordon ha aggiunto che l’implementazione di personale infermieristico è strategico rispetto alle carenze che avremo in prospettiva di figure mediche. In alcuni Paesi vi sono 5 infermieri per ogni medico, mentre da noi ce n’è 2,5. Fondamentale sarà quindi incrementare le competenze degli infermieri e sugli Oss. Un esempio in questo senso è quello del tecnico di radiologia, che possono occuparsi di diagnosi senza la presenza di un medico grazie ai sistemi di telemedicina. Se la figura professionale è presente in loco la competenza medica può refertare a distanza. Un modello avanzato nel Trentino consiste nell’utilizzo degli infermieri per le cure palliative a casa, dove abbiamo fatto un grosso investimento sulle cure infermieristiche per le cure dei pazienti a casa. A una domanda di Cia sulla ri-ospedalizzazione dei pazienti prima ricoverati e poi dimessi, Guarnier ha risposto che ricerche recenti dicono che questo problema è collegato collegata a cosa succede dentro un ospedale da cui il paziente esce spesso più fragile.
Upipa: cresce il fabbisogno di personale infermieristico nelle case di riposo.
Per l’Upipa sono intervenuti il direttore Massimo Giordani e la presidente Francesca Parolari. Parolari ha espresso una forte preoccupazione in merito al profilo degli Oss perché dai dati in possesso dell’associazione delle Apsp, considerando l’età media del personale attuale e il del fabbisogno futuro di queste figure, nel 2030 vi sarà bisogno di molto più personale rispetto a quanti usciranno dagli attuali corsi di formazione. Al sistema delle Apsp, insomma, non basteranno gli operatori che si stanno formando nelle scuole. Vi è inoltre da considerare il progressivo invecchiamento della popolazione che implica la necessità di introdurre servizi alternativi alla residenzialità o di residenzialità leggera. Parolari ha preannunciato che la questione sarà condivisa con l’Euregio attraverso un apposito convegno previsto in ottobre a Riva del Garda. Si stanno sollecitando i cda delle Apsp ad attivarsi per intercettare e attrarre personale. La concezione del lavoro presso le Apsp è diversa rispetto all’analogo lavoro svolto nell’Apss: vi è un continuo trasferimento di infermieri dalle prime alla seconda e occorre quindi un grande sforzo di fidelizzazione del personale, anche offrendo alloggi e lavorando sul tema della conciliazione lavoro-famiglia. Si tratta di dimostrare anche con il Family audit l’importanza di queste strutture di assistenza che, essendo di piccole dimensioni garantiscono più attenzione ai lavoratori rispetto all’Apss. Vi è poi il tema della formazione scolastica: servono modifiche ai percorsi formativi coinvolgendo anche le Apsp perché le persone non siano costrette a scegliere se studiare o lavorare ma possano fare sia l’una che l’altra cosa. Quanto agli infermieri nelle case di riposo, non c’è dubbio per Parolari che l’aumento del parametro tra queste figure professionali e gli ospiti sia auspicabile, ma anche in questo caso si pone il problema del reperimento del personale. L’Apss attrae di più gli infermieri rispetto alle case di riposo e per questo, secondo Parolari, occorre mostrare la differenza dell’attività da svolgere in un ospedale e in una Rsa. Anche sotto questo porfilo le Apsp possono e devono migliorare la percezione del lavoro degli infermieri puntando sulla varietà dei servizi da svolgere oggi non più solo all’interno di Rsa ma anche sul territorio. Si tratta di offrire prospettive di soddisfazione professionale a chi lavora nelle Apsp.
Il direttore Giordani ha fornito le cifre del problema. "
Se
si considerano i dati relativi alla suddivisione per fasce di età
degli OSS in servizio al 31 dicembre
2016
– ha
spiegato Giordani – e si
applicano loro i criteri di pensionamento per età (considerato che
l’età pensionabile non dovrebbe più innalzarsi per queste figure
in quanto considerate lavori “usuranti”), si vede come la soglia
di sostituzione per pensionamento obbligatorio di chi lavora è
mediamente di 60 persone anno nel periodo 2017-2021 di 160 persone
anno nel periodo 2022-2026, di 200 persone anno nel periodo 2027-2031. Senonché, ha proseguito il direttore di Upipa, agli occhi dei giovani le professioni di cura nelle case di riposo, dove ci si trova di fronte alla non autosufficienza anche grave, sono delegittimate, mentre attira di più lavorare in un contesto ospedaliero. Inoltre le scuole per diventare Oss del Trentino sono molto più severe rispetto al resto d’Italia anche se il titolo è equiparato. Tant’è che alla fine raggiunge il titolo di Oss solo una minima percentuali di iscritti.
Giordani ha spiegato che il problema della carenza di Oss e infermieri non riguarda solo il Trentino ma tutto il mercato del lavoro europeo. Per affrontarlo bisognerebbe offrire queste attività lavorative a chi già risiede in aree decentrate.
A una domanda di Demagri (Patt) sulla carenza o meno di Oss nelle case di riposo, Giordani ha risposto che non si registrano problemi e ovunque sono in fase di completamento le procedure di stabilizzazione di questo personale. Quanto agli infermieri nei turni di notte mancano ore di lavoro solo in alcune strutture. Per gli infermieri nelle Rsa occorrerebbe promuovere lo sviluppo professionale con percorsi di aggiornamento qualificati, ma è difficile incentivare la partecipazione a master e a corsi di specializzazione. Si sta lavorando molto sulla qualificazione dei coordinatori infermieristici e per gli infermieri della longtimecare. Parolari ha confermato che nella maggior parte delle strutture con più di 120 posti letto la presenza degli infermieri notturni è regolare tranne che in un paio di situazioni. “Non si può derogare alla necessità di garantire una presenza da cui dipende la qualità del servizio”.
Sindacati: servono il rinnovo dei contratti e un miglior trattamento economico.
Per la Fenalt Paolo Panebianco ha evidenziato che per queste due professioni della sanità l’ultimo contratto risale al 2009 e in 10 anni la realtà è profondamente cambiata anche nelle case di riposo. Per il rinnovo del contratto è stata avviata una commissione e si prospettano 4 aree prestazionali dove potrebbero ritrovarsi le varie professioni del settore. I comitati di settore puntano a sviluppare la professione infermieristica per dare una risposta anche al problema dell’invecchiamento di questo personale ne l’esperienza. Per la Fenalt queste due professioni hanno bisogno di una risposta concreta anche da parte della Provincia individuando per esse nuove funzioni nell’ambito della sanità. Il fatto che la mancanza di medici assumerà un peso drammatico nei prossimi anni, renderà queste professioni sempre più importanti, ma solo se vi sarà un percorso di crescita adeguato. Per gli Oss secondo Fenalt anche l’Apss dovrebbe chiarire cosa devono fare queste figure professionali, mentre nelle case di riposo del Trentino va impedita la fuga di questo personale verso gli ospedali. Purché si chiarisca bene cosa dovranno fare queste figure nelle Apsp. Fenalt chiede anche alla Provincia di attivare un tavolo di confronto con la sanità privata convenzionata e i sindacati per garantire pari dignità ai lavoratori del settore che devono poter seguire un percorso professionale il più possibile simile al comparto pubblico.
Per la funzione pubblica della Cisl, Giuseppe Pallanch ha chiesto in particolare che visti l’età media elevata di questi lavoratori del settore sanitario, il cambiamento delle attività e della formazione delle competenze, la Provincia ne affronti i problemi a 360 gradi investendo più risorse sul personale. Si tratta di garantire da una parte equità e dall’altra di valorizzare le competenze. C’è una commissione paritetica per ridisegnare le figure professionali seguendo il processo di armonizzazione avviato a livello europeo. Nel Trentino, ha evidenziato Pallach, non si vedono le ricadute della riorganizzazione introdotta dall’Apss e che è stata subita dai lavoratori tra i quali ha creato molti problemi in termini di carichi di lavoro. Occorrerebbe anche capire come e perché sia utilizzato personale interinale all’interno dell’Apss. Ancora, secondo la Cisl, oggi vi è in Trentino una percentuale di under 35 molto bassa e bisognerebbe quindi puntare sui giovani se si vuole garantire un futuro ai servizi pubblici. Si assiste invece a continue esternalizzazioni. E ai datori di lavoro delle strutture sanitarie convenzionate con l’Apss non è stato imposto alcun obbligo di rinnovare i contratti del personale. Dopo 12 anni – ha protestato – è una vergogna che nel Trentino a questo personale non sia stato ancora rinnovato il contratto. Pallanch ha lanciato quindi un allarme per il dumping contrattuale sempre più forte anche nella nostra Provincia. E ha poi insistito sulla necessità di sostenere il personale Oss: al tavolo contrattuale si devono trovare le risorse per valorizzare questo profilo professionale tenuto conto dei crescenti carichi di lavoro, dell’età media e della domanda di professionalità sempre più forte. Per il personale che non riesce più a svolgere l’attività (“limitazioni”) le richieste del sindacato sono rimaste lettera morta. Si chiede quindi alla Pat di mettere mano al portafoglio e di gettare così le le basi per il contratto 2019-2021.
Per Nursing Up il coordinatore provinciale del sindacato Cesare Hoffer, che è anche membro della commissione paritetica che sta rivedendo il profilo professionale degli infermieri, per ciascuna delle 22 figure sanitarie serve un contratto separato se si vuole perseguire l’obiettivo di una migliore assistenza dei pazienti. La Provincia dovrebbe dare in tal senso direttive chiare e distinte in merito alle diverse figure professionali, per evitare un conflitto sempre più emergente. Lo sviluppo delle competenze dev’essere il cardine del rinnovo contrattuale e questo è necessario che avvenga anche incrementando le risorse economiche. Puntare sullo sviluppo delle competenze e delle professionalità assicura per Hoffer ricadute positive dirette sul paziente. C’è poi il problema dei molti infermieri che non sono disposti a lavorare nelle strutture periferiche. Serve quindi da parte della Pat una politica di agevolazioni che attirino i professionisti in quelle strutture. Secondo Nursing Up occorre attivare la libera professione anche per i profili professionali del comparto sanitario. Abbiamo 6,4 professionisti per ogni 1000 abitanti a fronte di una media europea del 9,4. Attenzioneva prestata secondo il sindacato anche al problema del demansionamento, perché il professionista infermiere venga utilizzato come infermiere e non per altro, perché non trascuri la cura del paziente. Le dotazioni organiche vanno adeguate perché oggi sono del tutto insufficienti rispetto ai bisogni dei pazienti. Un grande problema è dato poi dal turnover negli ospedali di Trento e Rovereto. Vi sono equipe continuamente depauperate: occorre quindi assumere personale a tempo indeterminato per sostituire quello a tempo determinato, attivare servizi come asili nido e foresterie a livello ospedaliero. Hoffer ha sollecitato infine ad intervenire per tutelare gli infermieri e gli operatori sanitari dalle sempre più frequenti aggressioni aggressioni fisiche e verbali che subiscono sul lavoro dai pazienti.
Per la Cgil Luigi Diaspro ha manifestato preoccupazioni per due motivi: per la tenuta del sistema sanitario pubblico del Trentino visto il prospettato taglio di 120 milioni di euro. Al riguardo la Cgil ribadisce che il sistema sanitario deve essere pubblico per garantire omogeneità di accesso alle prestazioni. Seconda preoccupazione: serve l’unicità del contratto per tenere insieme le diverse professioni per evitare conflitti ulteriori tra gli operatori. Per questo occorre creare una commissione paritetica che affronti il ritardo dell’aggiornamento delle professioni (ultimo del 2009). Sanità privata: la Cgil invita ad intervenire per sbloccare il rinnovo dei contratti fermo da 12 anni.
La responsabile sanità della Cgil Gianna Colle ha ribadito che la gestione dell’intero sistema sanitario non può che essere pubblica e ha proposto di istituire anche a Trento una commissione paritetica simile a quella per la contrattazione nazionale. Serve inoltre un riconoscimento economico che tenga conto delle crescenti responsabilità assegnate agli infermieri e agli Oss. A suo avviso occorre garantire a tutte le professioni sanitarie pari dignità, allineando le condizioni economiche-normative.
Per la Uil sanità Giuseppe Varagone ha insistito sulla necessità di valorizzare maggiormente il personale infermieristico e gli Oss. Si tratta di dare alle figure infermieristiche un giusto riconoscimento attraverso la commissione paritetica nazionale. Questo perché si continua a chiedere maggiori competenze agli infermieri senza dare loro nulla in cambio. Quanto agli Oss, anche queste figure vanno rivalutate con una nuova collocazione di categoria. Il riconoscimento economico a queste due figure va accordato chiudendo il contratto 2016-2018 e con il contratto 2019-2021. Molto importante è poi l’armonizzazione tra lavoratori degli enti locali e della sanità, tra i quali oggi vi è un incomprensibile ed ingiustificato divario sia economico che giuridico. Assunzioni: si tratta di garantire il diritto al riposo psicofisico a queste figure operando delle assunzioni. Uil chiede per questo un impegno alla Pat. Infine anche per la Uil è un problema la sicurezza sui posti di lavoro: vi sono sempre più aggressioni subite da personale infermieristico e Oss. Il sindacato chiede alla Provincia una legge ad hoc perché questa situazione non è più tollerabile.
Per Marcella Tomasi di Uil enti locali c’è un problema di assetto istituzionale che per le case di riposo non è stato chiarito dopo la riforma legislativa di Spazio argento. La domanda è: come sono suddivise le responsabilità e le competenze nel sistema dei servizi erogati sul territorio anche per un miglior utilizzo delle figure professionali socio-assistenziali? Non è stata chiarita la definizione dei profili professionali infermieristici e degli Oss. Il rischio è quindi che Spaz<io Argento sia un’occasione persa. Serve anche per Tomasi un ticonoscimento economico che alzi gli stipendi agli Oss e agli infermieri sul territorio attraverso il rinnovo del contratto per il prossimo triennio. Tomasi ha accennato anche al Terzo Settore, soggetto strategico che va coinvolto e i cui lavoratori non vedono rinnovato il contratto dal 2006. Serve quindi un riconoscimento specifico delle professionalità socio-assistenziali nel Terzo Settore. Sempre secondo Tomasi la modalità di assegnazione delle dotazioni organiche nelle case di riposo parametrata al numero degli ospiti oggi va superata, perché i fabbisogni assistenziali sono diversi ed è necessario poter contare su personale di supporto in più che integri l’attività quotidiana. Ricambio generazionale: l’età media è avanzata e occorre quindi ragionare su come non perdere la professionalità e accompagnare queste persone alla pensione. Come? Con un ricollocamento in altri servizi. Allo stesso modo va affrontato anche il problema delle limitazioni fisiche di questo personale. Quanto all’attrattività del settore, ci ritroviamo con infermieri e Oss che sono sempre più merce rara: non si trovano ricambi e personale disponibile ad assunzioni, specialmente l’estate. Per risolvere il problema la strada è quella di garantire una giusta retribuzione e un’adeguata valorizzazione professionale. Vi sono professioni uguali che hanno trattamenti diversi: occorre un protocollo che armonizzi i profili professionali quantomeno per la mobilità.
Gli ordini professionali. Gli infermieri chiedono maggiore riconoscimento.
Per l’Ordine delle professioni infermieristiche, il presidente Daniel Pedrotti ha sottolineato la necessità di garantire sicurezza ai residenti nelle Rsa garantendo uno standard tendenziale di presenza di infermieri di almeno 1:20 sul turno di mattino e pomeriggio e 1:30 sul turno di notte in analogia alla media dei Paesi europei. Nei contesti ospedalieri è necessario garantire lo standard infermiere/paziente di almeno 1:8 al mattino e pomeriggio e almeno 1:12 di notte nelle aree medico-geriatriche e chirurgiche. Nel contesto territoriale è invece necessario per Pedrotti un potenziamento degli standard quanti e qualitativi di infermieri per garantire cure infermieristiche sicure e di qualità in risposta ai bisogni sempre più complessi dei cittadini. Negli ambiti formativi (formazione continua, di base e post lauream e professionale) è necessario applicare le raccomandazioni di dotazioni e risorse coerenti con il fabbisogno. Servono poi chiarezza dei ruoli, il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze e dell’expertise degli infermieri, nonché l’attivazione di percorsi di carriera. Si tratta in altri termini di garantire il riconoscimento e la valorizzazione di carriera ed economica delle competenze e dell’expertise degli infermieri nelle aree clinico-assistenzialòe, organizzativa, formativa e di ricerca in tutti i contesti di lavoro: strutture socio-sanitarie e Rsa, territorio, ospedali. Occorre poi riconoscere e valorizzare anche dal punto di vista economico gli infermieri di alcuni contesti ad alto carico di lavoro o assistenziale (medicine interne, geriatrie, Rsa). Ancora, è opportuno promuovere l’omogeneizzazione dl contratto delle Rsa (enti locali) e strutture private convenzionate con quella delle Ssp sanità per garantire alla professione infermieristica pari dignità ed equità. Va aumentato il riconoscimento giuridico ed economico delle funzioni di coordinamento per le maggiori responsabilità e funzioni attribuite agli infermieri, vanno attivati percorsi di carriera riconoscendo i livelli di complessità, responsabilità e autonomia. Vanno integrati gli attuali modelli organizzativi con posizioni dirigenziali professionali e gestionali nelle aree clinico-assistenziale, organizzativa, formativa e di ricerca.
Per l’Ordine della professione di ostetricia, la presidente Caterina Masè ha sottolineato che rispetto alle dotazioni organiche c’è stato un grande sforzo in funzione del percorso nascita. Per mantenere e migliorare gli standard qualitativi occorre provvedere tempestivamente alla sostituzione delle ostetriche che tornano nei territori fuori provincia da cui spesso provengono. Si è intensificata anche l’attività dei consultori e quindi la dotazione di ostetriche deve tener conto anche di questo tipo di fabbisogno che riguarda i territori. Fondamentale è poi sviluppare la figura dell’ostetrica di comunità, figura vicina ai territori per l’attività di prevenzione non solo durante la gravidanza e la gestione del travaglio-parto. Da valutare anche l’inserimento dell’ostetrica nei contesti di triage e nei servizi di pronto soccorso periferici per fronteggiare le necessità legate all’emergenza e al 118. Si tratta di valutare la reperibilità dell’ostetrica anche in funzione di questi bisogni. Si potrebbe poi realizzare un percorso di alta formazione in accordo con l’Apss per preparare in tempi brevi ostetriche e valutare la possibilità di attivare un corso di laurea specifico collegato con l’università di Verona per trattenere in Trentino queste figure. Andrebbe infine valorizzato chi ha acquisito competenze non solo con percorsi di formazione ma anche lavorativi.
Per l’Ordine tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, il presidente Michele Caliari ha ricordato che il tavolo tecnico chiesto dal 2013 al 2017 alla Provincia per affrontare le problematiche dei tecnici radiologici è mai stato attivato. Sul tema della formazione l’Ordine ha chiesto di far cessare il corso di laurea istituito da anni presso il polo didattico delle professioni sanitarie, perché sforna solo disoccupati. Si tratta di valutare la formazione dei tecnici sanitario in collaborazione con Bolzano, per svilupparne la professione all’estero tramite convenzioni con la sede universitaria di Bolzano con contributi per acquisire competenze linguistiche necessarie.
Le cooperative non trovano più Oss e puntano sugli “assistenti familiari”.
Per la Federazione trentina della cooperazione Paolo Fellin, membro del cda ha denunciato il problema dell’irreperibilità di persone con titolo di studio Oss in Trentino. Le cooperative che si occupano dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali e aderenti a Consolida non trovano queste figure in Trentino e sono spesso costrette a cercarne fuori provincia. Il problema è grave perché nel frattempo i bisogni delle persone aumentano, ma la forza lavoro dedita a questo comparto sta calando. Vi sono molte persone che lavorano nel mondo della cura sprovviste di titolo. Sono spesso donne. Solo il 50% di loro ha il titolo Oss, il resto no. Sono figure che hanno un’anzianità di servizio importante e che hanno beneficiato di formazione interna, ma che non possono iscriversi al corso Oss perché hanno alle spalle una famiglia da gestire. Ecco perché, ha raccontato Fellin, da un gruppo di lavoro con l’assessorato è emersa la possibilità di identificare una nuova figura professionale, che è stata chiamata “assistente familiare”, con una professionalità più bassa rispetto all’Oss ma che potrà essere riconosciuta in tutti i contratti con la pubblica amministrazione nel comparto dei servizi di cura. Anche le cooperative subiscono l’erosione del personale che va a lavorare nelle Apsp ogni volta che queste strutture bandiscono un concorso. Sicuramente il corso che viene fatto nella nostra provincia è serio e importante – ha osservato Fellin – ma fuori regione dura solo anno e non 2 e prevede un ridotto numero di ore. Il sistema trentino andrebbe quindi condiviso e reso omogeneo almeno con il Veneto senza perdere in qualità.
Al riguardo il direttore della Federazione Alessandro Ceschi ha ricordato la collaborazione avviata con l’Agenzia del lavoro per dare lavoro a disoccupati idonei utilizzando la nuova figura di “assistente familiare”.
Per l’assessorato, Franca Bellotti ha segnalato che la Giunta ha approvato un mese fa una delibera che prevede la sperimentazione di corsi per Oss di 12 mesi con 1400 ore per aumentare l’uscita di personale qualificato rispetto ai due anni di corso attuali.
Come cambia il contributo per l’affitto con l’avvento del reddito di cittadinanza. Quattro sì e un no (Patt) alla delibera della Giunta.
A seguire la Quarta Commissione ha espresso parere favorevole con 4 voti a favore e un contrario (di Demagri del Patt) alla delibera proposta dall’assessora Segnana che modifica il regolamento della legge in materia di edilizia pubblica. Segnana ha ricordato la decisione della Giunta di aderire al reddito di cittadinanza nazionale, che comprende per i soggetti che ne hanno diritto anche il contributo all’affitto. Di conseguenza è stata tolta la quota B dell’assegno unico provinciale per chi fa richiesta del reddito di cittadinanza. Questo per evitare di dare alla stessa famiglia due contributi per l’affitto. Ma, ha precisato Segnana, se il contributo per l’affitto erogato dalla Provincia è maggiore, viene pagata la differenza in modo tale da garantire lo stesso importo. Questo fino ad un massimo di 300 euro mensili. Demagri ha motivato il parere negativo del Patt perché la delibera rivela solo oggi ai cittadini che ne hanno diritto le implicazioni sul contributo per l’affitto derivante dall’aver richiesto il reddito di cittadinanza.