Libro curato dal Laboratorio di storia ed edito dalla presidenza del Consiglio. Foto allegate
"Invocare il bisogno dell'oblio – ha proseguito Dorigatti – non aiuta il dialogo, anzi, spesso fa deviare verso i pericolosi terreni dei revisionismi, dei negazionismi e dei populismi. Negare la fondamentale differenza fra chi allora si batteva contro le dittature dell'odio e chi, invece, difendeva le ideologie dei razzismi e delle superiorità etniche, in nome di una amalgama che rende tutto uguale, significa alimentare soprattutto il pericolo che la storia si ripeta». In questo senso, ha concluso il presidente del Consiglio «"Il popolo numerato" non è solo un documento ma anche uno strumento prezioso di elaborazione di un passato scomodo. E un atto di restituzione morale alle famiglie, ai sopravvissuti e a tutti noi, affinché da ogni singola esperienza qui raccolta salga un monito ed un insegnamento per il presente per il futuro»ۚ. Dorigatti ha concluso con un richiamo all'attualità: «Il nazismo ed il fascismo hanno segnato generazioni e culture e germinato frutti di contrapposizione e intolleranza che ancora maturano sulla pianta del vecchio continente. Sono frutti carichi di odio, di rifiuto, di razzismo, di chiusura e di gelosa conservazione di un presente, che avvelenano il nostro quotidiano e possono condurre ad un'intossicazione irreversibile tutto il corpo dell'Europa. I primi segni li avvertiamo già, ma sappiamo di poterli curare anche con antidoti come quelli di queste pagine, affidate alla curiosità del lettore e ai canali della conoscenza storica».
Dopo l'intervento di Dorigatti è stato l'ingegner Giancarlo Tomazzoni, coordinatore del Laboratorio di storia di Rovereto, soggetto collettivo di studiosi nato trent'anni fa e che ha realizzato la ricerca, a ricordare come partendo da un nome, un cognome e da un numero di matricola, è stata progressivamente ricostruita la vicenda di questi 160 trentini finiti nel campo di concentramento di Bolzano. "Queste 160 schede biografiche – ha sottolineato Tomazzoni – molte associate ad una foto e ad un tracciato biografico, sono state inserite nel contesto del campo di Bolzano, diventato a sua volta protagonista della storia narrata nel volume". "Il libro – ha proseguito – da grande spazio all'immagine come fonte di suggestione e parte integrante del racconto storico.
Ad apprezzare la ricerca racchiusa nel volume è stato Bartolomeo Costantini, procuratore della Repubblica, che aveva sostenuto la pubblica accusa nel processo contro Michael "Misha" Seifert, meglio noto come il boia del Lager di Bolzano. "Questo è un bel libro – ha osservato – anche se tratta una delle pagine più nere del fascismo e del nazismo: bello per impostazione grafica ma soprattutto per la ricchezza dei contenuti e la ricostruzione storica meticolosa della realtà e della vita degli internati del Lager di Bolzano. Costantini ha ripercorso gli anni e le lunghe ricerche che portarono all'estradizione di Seifert dal Canada, dove aveva cercato rifugio, alla fine condannato all'ergastolo perché riconosciuto colpevole di 11 omicidi.
La parola è poi passata al professor Carlo Romeo, storico altoatesino specializzzatosi nelle vicende dell'Alpenvorland, che ha messo in luce come le ricerche sul Lager di Bolzano siano state molto poche in passato anche se tutti sapevano dell'esistenza del campo di concentramento. Dopo la guerra gli alleati vi inserirono un centro di accoglienza per profughi provenienti da tutta Europa. E poi le sue strutture vennero adibite perfino ad orfanotrofio. Alla fine degli anni 60 gli ultimi pezzi dell'ex Lager di Bolzano vengono demoliti per costruire case popolari. La politica ufficiale si muove con estrema cautela perché scavare nella storia sembra incrinare gli equilibri. Solo a metà degli anni 90 – ha ricordato Romeo – «il varco di apre e il Comune di Bolzano si fa carico di questa pagina di memoria civica e civile. E anche la stampa di lingua tedesca manifesta interesse e riconosce che nel Lagar vi furono sia persecutori che perseguitati sudtirolesi. Intanto però muoiono quasi tutti i testimoni e il passato si appanna. Nel giugno 2004 grazie all'impegno del sindaco di Bolzano Salghetti viene inaugurato il "luogo della memoria" in via Resia, dove sorge l'unico muro rimasto del Lager di Bolzano. Ma a togliere dall'oblio tutto ciò che era rimasto in ombra sul Lager di Bolzano fu la diffusione, nel 2000, della foto di Michael Seifert pensionato in Canada, la sua estradizione e il suo processo.
Infine Leopold Steurer, studioso che ha indagato il nazionalsocialismo, si è chiesto cosa avrebbe potuto diventare il Lager di Bolzano nell'immediato dopoguerra. E si è dato questa risposta: avrebbe potuto essere «il luogo di memoria centrale per tutti i tre i gruppi linguistici dell'Alto Adige, per una memoria condivisa e non divisa come invece è successo». Perché, ha proseguito, «se nell'immediato dopoguerra vi fosse stato un piano per costruire sul lager di Bolzano un luogo comune di memoria, forse avremmo potuto evitare una memoria divisa e una ricostruzione faziosa e strumentale, in chiave nazionalistica della storia da parte di partiti e organi di stampa. Nel Lager di Bolzano, infatti, troviamo sia prigionieri e internati sia guardie e aguzzini di lingua tedesca e italiana. Questo Lager, ha concluso Steurer, oggi è un luogo di memoria visitato da scolaresche perché finalmente la storia non è più usata per mettere gli uni contro gli altri, ma per lo sviluppo democratico e civile di tutta la società».
Tra un intervento e l'altro il pianista Federico Scarfì, del Conservatorio di Trento, ha eseguito brani composti da internati nei Lager, offrendo anche una reinterpretazione della colonna sonora del film Schindler List. E un affettuoso applauso del pubblico è andato, alla fine, ad un superstite presente in sala Depero: Valerio Barbacovi, internato 5068 nel Lager di Bolzano e rilasciato nel novembre del 1944.